Quando il viaggio è rivoluzione

Quando il viaggio è rivoluzione

Novembre 5, 2018 0 Di ilviaggiatorecritico

Foto di El Territorio.

In questo caso il viaggio non è turismo e non è per lavoro. E’ un fenomeno di grande  complessità e sta diventando un fatto di rilevante importanza storica.

Mi riferisco all’incredibile marcia che migliaia di centroamercani stanno facendo in queste settimane verso gli Stati Uniti. E’ un fatto totalmente nuovo per l’era moderna, ma non per l’antichità.

Per prima cosa diciamo che è molto diverso dalle traversate del Mediterraneo degli arabi o degli africani. In quel caso il passaggio avviene alla spicciolata, ognuno per conto proprio, al massmo a piccoli gruppi. E fu così anche per i siriani che arrivavano in Grecia. Mille rivoli che si spostavano con mezzi motorizzati e confluivano solo ai posti di frontiera. Inoltre era gente che veniva da un paese in guerra.

In questo caso è una colonna di gente che cammina, aproffittando solo eventualmente dei passaggi dei camion. Non fuggono da una particolare guerra o da una miseria superiore al solito. In Centroamerica la violenza è endemica ed i soprusi di una maledetta razza padrona, di poche centinaia di persone, sono sempre stati totali.

Questi hanno deciso di migrare in massa in un altro posto, come le cicogne ad autunno. Questi non sono individui che cercano di sfangarsela individualmente; questi sono un popolo. Almeno, la sua avanguardia. Questi hanno deciso di andare là dove sono i quattrini, dal momento che i quattrini da loro non vanno; il famoso discorso di Maometto e la montagna.

Questi non sono tristi, impauriti, titubanti ed impacciati come sono gli africani quando sbarcano a Pozzallo. Seguo giornalmente la vicenda sul Canal Sur, la televisione Venezolana/Bolivariana per l’America Latina. Questi sorridono; hanno i piedi in fiamme, ma scherzano e sono allegri. Sono decisi e contenti di aver preso quella decisione. Non sperano di farcela, ma vogliono provarci. Hanno in loro la forza delle imprese storiche, anche se destinate a fallire. E gli abitanti che li vedono passare lo capiscono e li aiutano, dando loro da mangiare, da bere, dove dormire. Oggi è partita un’altra colonna e siamo a quattro. E’ un movimento di massa potenzialmente molto vasto e difficilmente arrestabile, se non con le pallottole.

Questa faccenda rischia di essere lo spartiaque fra come si emigrava negli ultimi decenni e come lo si farà nei prossimi.

Gli esempi storici sono numerosi, ma molto lontani nel tempo. I Goti o i Vandali, che stanchi di fare da manovalanza ai romani (come ora i sudamericani agli americani) decidono, ad un certo momento, inaspettatamente, improvvisamente, di entrare nell’Impero Romano e di insediarsi dove meglio gli pareva. E non furono necessariamente delle penetrazioni armate; furono viaggi di popolo. Solo in alcuni casi arrivarono armati e ci furono battaglie.

Il tipo con il ciuffo manda l’esercito sulla frontiera. Lui la vede già in termini di guerra, anche se non è affatto così. E’ una marcia gioiosa che si trasformerà in scontro solo se non li faranno passare. Difficile ormai sparare sui popoli. Giulio Cesare lo fece: gli Elvezi gli chiesero di entrare nell’Impero per potersi insediare in Gallia. Lui che era lì per conquistarla, disse di no e li massacrò tutti. Ma ora diventa difficile farlo.

Un altro viaggio di massa fu la crociata popolare che precedette la prima crociata. Andavano per vedere il Santo Sepolcro; avevano i loro motivi religiosi come questi li hanno economici. In entrambi i casi andavano; andavano là dove volevano andare, tutti insieme, indifferenti alle conseguenze. Quelli furono tutti massacrati, ovviamente. Questi farebbero la stessa fine se non ci fossro le televisooni. Ma ci sono.

Niente a che vedere con gli ebrei che andarono in Palestina; ci arrivavano da conquistadores, come si sarebbe ben presto visto, e sostenuti dal grande capitale mondiale. Quella fu una invasione e dette luogo ad una colonia.

Questi sono poveri e lo rivendicano. Non vogliono idee astratte e politiche di giustizia sociale o di affermazioni di culture, razze, religioni. Questi vogliono semplicemente un lavoro in un posto dove si possa viviere decentemente. Sensa aver paura della violenza, delle malattie, degl’ignoranza dei figli.

Del resto come pensare di fermare queste migrazioni? Prima individuali, poi di piccole masse come questa attuale, diventeranno presto fiumi di persone. Il sud invaderà il nord. Finalmente. Finora è stato il cntrario e a quelli del nord gli andava benone. Ora è finita.

Come è possibile che chi muore di malaria perchè non ha due dollari per comprarsi tre pasticche che lo guarirebbero, non voglia andare a vivere in paese dove si spendono centinaia di migliaia di euro per tenere in vita un ottantenne con demenza senile? Chi può sostenere che tutto ciò è ragionevole e sostenibile e destinato a durare? Questi che camminano sono poveri, mica scemi. Fra stare in un posto dove un maestro semianalfabeta insegna in classi di 80 bambini ed un  posto dove ci sono due laureati per venti bambini; voi vostro figlio dove lo mandereste a scuola? E’ meglio vivere dove esiste uno stato di diritto, anche se largamente imperfetto o là dove il potere di pochi è conservato a forza di abusi, soprusi, violenze, corruzione, forze di polizia asservite e bande di paramilitari incontrollate? Fate un pò voi. Voi italiani, fareste a cambio?

Ma torniamo al viaggio. Ancora una volta il viaggio rappresenta per chi lo fa un momento di grande speranza. Il turista spera di vedere cose belle, il giovane spera di trovar notti di divertimento e di sesso; la coppia di vivere momenti romantici. Questi migranti sperano di dare una svolta alla loro vita. Il viaggio come cambiamento, come rinascita, come nuova vita. Il viaggio come una droga che ti cambia; un trip secondo il linguaggio degli psichedelici.

Quindi il viaggio è rivoluzione: cambia tutto. Le persone, i rapporti fra di loro, la percezione di sè e degli altri. I centroamericani non fanno più la rivoluzione contro i gringos, non dicono più yankee go home., come nei tragici anni ’70 ed ’80. In un insospettabile colpo di scena sono loro che vanno dai gringos, a cercare di prendersi delle briciole di ricchezza. E, paradossalmente, queste quattro colonne di marciatori, inermi e pacifici, fanno più paura dei guerriglieri di Daniel Ortega, del Che Guevara, di Guzman di Sendero Luminoso. Perchè non inseguono una fumosa ideologia di libertà. Cercano il benessere. E i bisogni primari muovono più persone e più convintamente delle spinte ideologiche.

Il viaggio diventa un’arma; il camminare un’affermare la propria presenza. Vedo in queste colonne una consapevolezza dei propri diritti umani che non avevo mai visto finora. Non è una marcia politica; non è una manifestazione simbolica che rivendica delle istanze. In questo caso la gente va a prendersi quel che ritiene legittimamente proprio: il diritto ad una fettina di lavoro, di benessere, di giustizia. E lo fa pacificamente, come sarebbe piaciuto a Gandhi.

Finalmente un viaggio pieno di significato. Io spero che ce la facciano.

PS. Riprendendo questo articolo un anno dopo bisogna dire che non ce l’hanno fatta. Le carovane di emigranti si sono diffuse, disperse, divise in mille rivoli. Molti sono stati riportati nel loro paesi dai messicani; altri si sono sistemati in qualche modo in Messico. Lmmagino che una certa percentuale si sia infiltrata negli Stati Uniti, ma devono essere stati pochi.(Vedere questo bellissimo articolo con i due libri che sono usciti sull’argomento). Ma non importa, la via è segnata e prima o poi ce la faranno.