Turismo solidale? Trappolone per ingenui?
Sull’onda della moda della Green economy si parla molto, da qualche tempo, di turismo responsabile ed addirittura solidale.
E come la Green economy, anche il turismo solidale rischia di essere il classico polverone di luoghi comuni privi di senso reale e trasformarsi in una truffa per quei creduloni che ci cascano. Basta mettere un’etichetta alla moda per aumentare le vendite o, almeno, i prezzi.
Per le definizioni dei vari tipi di turismo si veda qua. Il turismo solidale, nelle parole di chi lo vende, oltre ad essere responsabile, mette in contatto i turisti con delle situazioni sociali in difficolta’ o comunque meritevoli di essere conosciute. I turisti porteranno appoggio tanto morale quanto economico a queste realtà sociali ritenute sfavorite.
Per chi organizza questi viaggi la cosa più importante è aggiungere la parola “solidale” ad un viaggio peraltro simile a molti altri. La parola che nobilita, carattrerizza, personalizza, pulisce le coscienze, fa green, permette di accedere a quegli eventi tipo “Fà la cosa giusta” e consente di aggiungere qualche centinaia di euro al prezzo, Il turista diventa solidale e si sente migliore, gratificato. E’ un capolavoro di marketing. Anche la guida non è piu’ tale, ma diventa “mediatore culturale”. Il viaggio diventa una esperienza di “scambio interculturale”. Ma gli organizzatori si affrettano anche a far sapere che resta comunque una vacanza. Non si pensi a troppo intensi scambi con i poveri visitati! Ognuno mantiene il proprio ruolo: il turista fa il turista, il povero fa il povero. Il contatto ci deve essere, ma che sia breve!
Ribaltiamo la cosa ed immaginiamo che i viaggi solidali si svolgano in Italia: la guida porta un gruppo di turisti giapponesi in un centro della Caritas di aiuto ai senza dimora o in un centro di riabilitazione per mutilati o in un ospedale infantile. Dove i giapponesi verserebbero una lacrimuccia ed accarezzerebbero la testolina di un bambino, mettendogli in mano una caramellina.
Rivoltante, vero? Eppure e’ proprio quel che succede nel turismo cosiddetto solidale. Ma cio’ che non accettiamo da noi, siamo prontissimi a farlo nei paesi del sud.
Il lato organizzativo e materiale del turismo solidale e’ ancora peggiore. In un viaggio di una settimana o dieci giorni si visitano due progetti sedicenti solidari. L’obolo che il turista paga all’organizzazione e’ di 70 euro che vanno ai progetti. Quindi ogni progetto avra’ circa 35 euro moltiplicati per i dieci – quindici turisti: una miseria vergognosa, che pero’ permette al viaggio di chiamarsi solidale. Con 4 – 500 euro una tantum si vuol risolvere qualche problema? Non è una schifosissima elemosina?
Ma come avviene un viaggio solidale? Esattamente come tutti gli altri con due piccole differenze. La prima consiste nel passare due mezzi pomeriggi presso quei due progetti di assistenza ai vulnerabili.
La seconda differenza sta nella scelta delle strutture che ospiteranno i turisti per dormire e per mangiare. Lo faranno in modestissime pensioncine ed in tristi locande che saranno state spacciate come iniziative imprenditoriali di base, meritevoli di essere frequentate ed aiutate. I turisti non potranno lamentarsi del basso livello delle strutture ed anzi ne gioiranno, sentendosi buoni, solidari, redentori di una umanità sofferente. Ci si dimentica di dire che ogni viaggiatore a basso budget usa strutture di quel tipo senza sognarsi di star facendo un’operazione di solidarieta’ internazionale.
Il turismo solidale è pauperistico per marketing, non per necessità o scelta ideologica. A ben vedere i turisti “solidali” non sono affatto a basso budget. Infatti tali viaggi sono molto piu’ cari degli equivalenti “normali”. Quindi l’ipocrisia e’ totale. Ancora una volta l’economia green si rivela un semplice e cinico artifizio commerciale. E chi l’acquista un illuso, un credulone o, nella peggiore delle ipotesi, un ipocrita.
Vediamo alcuni di questi viaggi e cerchiamo di capire come funziona tutto cio’.
Ripeto qui quello che ho già scritto sul mio articolo: non c’è bisogno di aggiungere altro a quello che hai detto. Questa è una stucchevole forma di colonialismo, di orientalismo, una sindrome da Madre Teresa part-time. Se togliessimo la parola “solidale” il termine turismo da solo sarebbe meno ipocrita. Se eliminassimo l’idea che quel che si va a fare cooperando sia turismo, forse, renderemmo queste azioni meno ipocrite. Perché secondo me, le ong, e altre cose possano avere un senso, se però si fanno mettendo chi va e quelli del posto dove si va sullo stesso piano, mentre il turismo per sua “natura” prevede una separazione tra chi va e chi “riceve visita”.
In effetti sarebbe necessaria una riflessione sugli aspetti “colonialisti” del turismo. Ma la forza economica del fenomeno è tale che verresti travolto immediatamente. Col rischio della bomba sotto casa.
[…] “turismo solidale” urge fare una precisazione. Come segnalato da Viaggiatore Critico in questo articolo tagliente ed esatto. E’ (spesso) una stucchevole forma di colonialismo, di orientalismo, una […]