Stupefacente storia mediterranea

Maggio 6, 2024 2 Di ilviaggiatorecritico

L’isola di Tabarka. Una storia agitata, la sua. (Foto di Noomen9 da Wikipedia Commons)

Il Viaggiatore Critico va spesso nella località marittima di Tabarka, nel nord della Tunisia, proprio al confine con l’Algeria. Va in un gradevole alberghetto e si aggira per le montagne retrostanti, godendo la frescura estiva, mangiando un insospettabile cinghiale pur in ambiente mussulmano e cercando oggetti artigianali nei pregiati legni della zona.

Chiacchierando con questo e con quello, si è imbattuto nella seguente curiosissima storia poi verificata su prestigiose fonti storiche quali Wikipedia.

Già subito dopo l’anno 1000 Pisa era molto attiva nei traffici marittimi e nella loro difesa contro i pirati provenienti dal nord-Africa. In una delle incursioni contro i pirati riuscì a prender possesso di porzioni di terra nell’attuale Tunisia, fino a che il bey di Tunisi, nel lontanissimo 1087, per evitare un eccessivo contatto fra i suoi sudditi e gli infedeli (per di più pisani, vedasi quel che ne pensava Dante, mica tanto tempo dopo) decise di conceder loro una minuscola, erta e scoscesa isoletta che si trova a pochi metri (ora c’è un ponte pedonale) dalla costa di Tabarka. I pisani ebbero libertà assoluta di commercio, ma non potevano sbarcare sulla terra ferma; le merci gliele portavano i locali. Gli acquisti più importanti riguardavano, di gran lunga, un bellissimo corallo che vi era abbondante su quei fondali rocciosi. E lo è ancora, maggiormente dalla parte algerina, meno sfruttata. Nottetempo, dei sommozzatori tunisini recuperano di frodo tali coralli algerini a profondità spaventose e con grande pericolo, non solo per l’immersione con mezzi poco sicuri, ma anche per la caccia che da loro la Guardia Costiera algerina i cui metodi fan più paura degli stessi abissi marini.

I Pisani fortificarono la loro isoletta su cui rimasero trafficando per numerosi secoli fino a che, per la perdita della sovranità in favore di Firenze, la diminuzione della capacità commerciale e la generale decadenza della città, non la abbandonarono.

Ma l’idea della presenza stabile europea in quella zona rimase ed un frangente storico permise di riattivarla. Carlo V di Spagna si impossessò della Tunisia e concesse, attraverso l’ancor presente Bey di Tunisi, analogo privilegio di abitazione e commercio sull’isola a certi nobili che avevano accompagnato i Doria, suoi fondamentali sostenitori nella campagna militare di Tunisi. Si tratta dei Grimaldi (proprio loro, quelli di Montecarlo) ed i meno conosciuti Lomellini, tutti di Genova e tutti fornitori di navi, marinai ed armati a sostegno di Carlo V. I Doria ebbero possessi in Algeria, gli altri l’isola di Tabarka; i Grimaldi si ritirarono rapidamente, mentre i Lomellini annusarono l’affare. Erano ben impianti a Pegli, quartiere di Genova, dove avevan casa e possedimenti; presero alcune decine di famiglie da quel borgo e le trasferirono sull’isola di Tabarka dove ripresero le vecchie abitudini dei pisani, commerciando di tutto. I Lomellini si presero il diritto esclusivo di acquisto di tutto il corallo estratto che poi rivendevano con lucro sfacciato in tutta Europa, arricchendosi senza ritegno.

La cosa andò avanti per un paio di secoli, fin verso il 1740. Quando il corallo cominciò a scarseggiare per eccesso di sfruttamento ed il Bey di Tunisi si sentì abbastanza forte da occupare l’isola e rendere schiavi tutti i discendenti dei primitivi colonizzatori di Pegli.

Un primo gruppo di famiglie se ne era già andato e dopo una ventina d’anni di negoziati e ricerca di fondi, gli schiavi furono riscattati e poterono lasciare definitivamente la sponda meridionale.

Si pose dunque il problema di dove installare questi pescatori e commercianti di corallo; riportarli a Pegli non era possibile, non avevano più nessun legame dopo due secoli di assenza.

Ed è questa la parte più intrigante della vicenda: Genova e la Liguria erano passati sotto il regno dei Savoia ed il regnante di turno pensò bene di mandarli nell’isola di San Pietro, all’angolo sud-occidentale della Sardegna. Era un’isola abbandonata e bisognosa di braccia che la mettessero a frutto. Si fondò un paesello e fu chiamato Carloforte. Una seconda parte dei Tabarchini, come si erano ormai venuti a chiamare i genovesi sfollati da Tabarka, furono sistemati a Calasetta, proprio davanti all’isola di San Pietro. Un terzo gruppo, invece, fu accolto dal re di Spagna che si era mostrato molto attivo nella vicenda della liberazione degli schiavi, anche in conseguenza del fatto che il suo predecessore Carlo V era all’origine della colonia genovese a Tabarka.  Tale gruppo fu piazzato in una ulteriore isola disabitata nei pressi di Alicante (che venne chiamata, con trascinante fantasia, Nueva Tabarca) dove si integrò rapidamente con i vicini spagnoli. I discendenti conservano fino ad ora dei cognomi dalle assonanze ligure, ma senza altri elementi culturali.

I tabarchini di Carloforte e Calasetta, invece, non se la sono mai detta con i sardi ed hanno mantenuto lingua, usi, costumi, gastronomia, ecc. derivati dall’originaria Pegli e ciò quasi 500 anni dopo aver lasciato quel borgo. Anzi, sono così attaccati alla propria identità che cercano ed hanno contatti molto più con la lontana Liguria che con la confinante Sardegna. Anche la lingua, chiamata tabarchino ovviamente, si mantiene vivissima, anche fra i giovani, proprio come elemento identitario di diversificazione con i sardi circostanti.

Nel frattempo sull’isola di Tabarka tunisina non vive più nessuno, è verdeggiante e serve di sfondo ai selfies che le famiglie dei turisti tunisini si fanno sul ponte che la collega alla terraferma.

Storia di popoli del Mediterraneo, una fra un milione.