Sulle tracce dell’assassina di Bari
Ci sono andato apposta. Ho preso un Ryanair a prezzo stracciato, 35 euro andata e ritorno e sono andato a Bari. Lo volevo fare da mesi e l’ho fatto. A far che? A cercare l’assassina, che altro?
L’avevo vista in televisione, a Masterchef, unica trasmissione che il Viaggiatore Critico vede su quel perfido mezzo di stordimento di massa. Avevo cominciato a praticarla a casa, in mille prove diverse, cariche di angoscia e di pathos, ottenendo anche dei delitti abbastanza soddisfacenti. Ma avevo bisogno di andare a conoscere l’originale, di constatarne de visu il modus operandi, di impregnarmi delle atmosfere dell’ambiente nelle quali il rito sacrificale è nato e si è perfezionato in una lunga catena di delitti seriali. Un vero e proprio killeraggio in serie.
In due giorni a Bari, ben alloggiato nel centro del teatro delle operazioni, ho incontrato per ben 4 volte l’assassina, potendone stilare un profilo psicologico abbastanza solido da permettermi di continuare le ricerche nella calma della mia cucina.
I primi due spaghetti all’assassina li ho mangiati ad Urban – Assassineria urbana; ristorante moderno molto più assomigliante ad una catena di montaggio che ad un luogo di piacere; quest’ultimo è riservato esclusivamente al conto corrente del proprietario. Il Viaggiatore, anche a non voler esser Critico, non riesce a capire come le persone persistano a farsi prendere in giro (e spennare) in simil luoghi di pena. Pessima l’assassina classica, iper secca e cartonosa; ancore peggiore la seguente provata, assassina alle rape, più asciutta del Sahara per Ferragosto. Entrambi i piatti serviti in poche decine di secondi, quindi precotti, lasciati stagionare in frigo e riscaldati al micro-onde. Un insulto a tutta la categoria delle assassine ed ai loro estimatori.
Ma come si cucina questa ricetta, nata a Bari qualche decennio fa? La preparazione è sconvolgente e va contro tutte le regole della cucina tradizionale, moderna o gourmet che sia. Si fa un brodo assai liquido con concentrato di pomodoro e/o pomodori pelati ben frullati. Io aggiungo aglio e, volendo, origano, obbligatorio abbondante peperoncino; si lascia bollicchiare a parte e si tiene a portata di mano un mestolo. La parte sconcertante comincia ora: si prende una bella padella larga e si mette sul fuoco. Vi si mettono dentro gli spaghetti, senza acqua o olio, così come escono dalla busta. Si mettono pari pari, in modo che tocchino per bene il fondo arroventato della teglia. Il fuoco è a mezz’asta. Gli spaghetti diventeranno biancastri e manderanno un buon odore di farina. Si aggiunge abbondante l’olio e in pochi secondi gli spaghetti diventeranno traslucidi e cominceranno a bruciarsi. L’officiante del rito dell’assassina (ovverosia il cuoco) prende una mestolata di brodo rosso e la butta nella padella: si scatena l’inferno di schizzi e vapore. Essenziale non muovere gli spaghetti che resteranno belli inteccheriti sul fondo bollente della padella fumante. A questo punto si va ad orecchio: l’unico piatto della cucina mondiale che si cucina con l’udito (facciamo astrazione del tacchino con il fischio della cucina americana, perché quella non è cucina). Si mette a tutto fuoco, Dopo lo sfrigolio della prima mestolata di brodo, si udrà il bollicchiare del brodo; esauritosi si avrà lo sfrigolio dell’olio. Finita anche l’ultima umidità la padella si farà silente mentre il lato degli spaghetti a contatto con il fondo della padella comincerà a bruciarsi. Il cuoco non si scomporrà affatto: terrà a bada la tensione ed il bisogno di intervenire e conserverà la calma. Fino al momento nel quale la sua angoscia raggiungerà un massimo e metterà un altro mestolo di brodo. La sequenza di rumori e di angosce si ripeterà, mentre gli spaghetti continueranno a giacere immobili, bruciacchiati e attaccati l’un l’altro. Dopo tre o quattro mestolate di brodo, il cuoco si deciderà, infine, a girare gli spaghetti. Si saranno ammorbiditi e prenderanno la loro forma sinuosa abituale dello spaghetto cotto, ma la faccia di sotto di quelli che erano a contatto con il fondo della padella sarà brunastra. Una volta girati, continueranno a bruciarsi anche sull’altra faccia, ricevendo poche mestolate di brodo. Alcuni minuti dopo il tempo di cottura stampato sulla busta si prenderanno gli spaghetti sfiniti dall’operazione, ormai completamente assassinati e mezzo bruciacchiati e si impiatteranno. La cosa straordinaria è che il brodo, ritirandosi, avrà lasciato una cremina di pomodoro e amido rilasciato dalla pasta, molto morbida e saporita da spargere sullo spaghetto. Ci sarà quindi il contrasto fra la pasta bruciata, secca, a tratti annerita e la cremina rossa e morbida. Esattamente quel che mancava ad Urban, l’assasineria urbana. Attenzione a non prendere dalla padella i resti del pomodoro bruciato. Pescare solo la cremina.
L’assassina migliore è stata quella del giorno seguente, a pranzo, ala Gassa d’Amante (che è un tipo di nodo marinaresco), ristorante elegantino nascosto dentro la sede del CUS Bari, introvabile se non lo sai. Me l’hanno fatta espressa essendo fuori menu. Un grande piacere, ben bruciata, alcuni fili del tutto carbonizzati, ma con una bella cremina piccante. Preceduta da una eccellente insalata tiepida di mare.
Ultimo delitto alle Muse ed il Mare, reato accettabile, niente di emozionante. La conclusione è stata positiva. La mia assassina casalinga non è affatto male; non arriva alla perfezione della Gassa, ma è largamente superiore a quella di Urban. Mi manca di bruciarla un po’ di più: la mia è una assassina compassionevole; non va bene.
Il giorno seguente, prima della partenza, stanco di morti ammazzati nel pomodoro, ne cerco altri appena stecchiti. Sul porto, dietro il Teatro Margherita, vi è una sorta di loggia in ferro sotto alla quale dei pescatori vendono il loro prodotto. Un paio di loro preparano delle seppioline, delle seppie tagliate a strisce che chiamano tagliatelle, dei ricci e dei polpetti. Il tutto da mangiarsi crudo con del limone, in un piatto di plastica, seduto sugli scalini della loggia. Hanno anche delle ostriche, sia locali che francesi. Ti danno un tozzo di pane con cui raschiare il fondo del riccio e prelevarne le uova. Meravigliose le seppioline, da ingurgitare vogliosi in un sol boccone, carnoso, fresco e turgido di acqua di mare. Una delizia che ha surclassato, ahimè, tutte le assassine precedenti.
zhou9m
Curioso! A me piacerebbe provarla.
Grazie Viaggiatore.
De gustibus…
Del resto il fascino del “rischio”, si sa che è sempre di moda!
Assassina è la cuoca, il cliente invece è un masochista sbruffone: la pasta è molto cancerogena, ed a mio parere è una vera schifezza…
Altra cosa è la pasta che si mette a cuocere cruda in zuppe o salse varie!
Che fame!! Non conoscevo l’assassina, purtroppo nemmeno masterchef lo guardo, la TV la spolvero e basta ahahah, ma interessante come ricetta. Però pesce crudo al momento vale un viaggio!