La storia dei cani pescatori dell’Isola delle tigri, Angola

La storia dei cani pescatori dell’Isola delle tigri, Angola

Ottobre 28, 2019 2 Di ilviaggiatorecritico

La strada principale de Sao Martinho dos Tigres, all’occorrenza era pista d’atterraggio.

Questa è una delle storie più strane che abbia mai sentito. Si svolge all’estremità meridionale dell’Angola, ad una sessantina di chilometri dal confine con la Namibia. E’ una zona assolutamente desertica, con le dune che arrivano fino sul mare. E’ praticamente una spiaggia profonda decine di chilometri. A Rimini ci metterebbero infinite file di ombrelloni.

In quel punto scorre la famosa corrente di Benguela che viene dal sud e richiama acque profonde; fredde e ricchissime di plancton. Ciò fa sì che lungo la costa faccia molto più freddo di quanto ci potremmo aspettare e che vi sia spesso la nebbia, anche se ci troviamo in pieno deserto. Il plancton nutre una ricchissima comunità animale composta da infiniti pesci, molti uccelli ed anche foche che vengono a riposarsi sulla spiaggia.

La corrente di Benguela è venuta costruendo delle lingue di sabbia che nascono nella costa e che si prolungano per chilometri nel mare, restando semiparallele alla costa stessa. Sono delle lunghe penisole che vanno verso nord. Le baie, strette e lunghe, che si formano fra la costa e la penisola sono ovviamente dei porti super sicuri.

A metà del 1800 dei pescatori dell’Algarve portoghese si insediarono nella penisola di cui stiamo parlando e vi fondarono il paese di Sao Martinho; la penisola venne chiamata Dos Tigres, non si sa perché. Tigri certamente non c’erano e nemmeno un filo d’erba. La colonia prosperò; si pescava e si produceva pesce secco e farina di pesce che venivano esportati in tutto il mondo. Il paese arrivò a contare 1000 persone e diverse centinaia di costruzioni, comprese la scuola, la chiesa, il Comune, ecc. La strada principale era pavimentata da lastre di cemento e funzionava anche da pista di atterraggio per piccoli aerei. La città fu fondata sul lato tranquillo della penisola, quello che guarda la costa. Un po’ più a nord c’è il porto con le fabbriche del pesce; a debita distanza dal paese per evitare il puzzo e le mosche.

Poi, nel 1962, una enorme tempesta colpì la base della penisola, distruggendola e trasformandola in un’isola, come è ancora. Fu distrutto anche l’acquedotto e il paese doveva esser rifornito con una bettolina.

Le vecchie case del paese. Foto di juls26 via Wikicommons.

Nel 1975 crollò l’impero coloniale portoghese; l’Angola divenne indipendente, scoppiò il caos della guerra civile ed i pescatori di Sao Martinho dos Tigres se ne tornarono tutti quanti a casa loro. Il paese rimase completamente abbandonato e così è ancora oggi. Le foto lo testimoniano. Case disseccate dal sole e lentamente erose dal vento e dalla sabbia, ma ancora spettralmente in piedi. Ormai dirute le fabbriche. In tutti questi anni la pesca è continuata, ad opera dei grandi pescherecci d’altura o delle piccole imbarcazioni angolane, basate a Tombwa, ma senza sbarcare sull’isola.

Tombwa è l’ultimo luogo abitato della costa angolana. Ci capitai una volta, fra la polvere del deserto, la nebbia ed il puzzo di pesce. Ci sbarcano quantità colossali di pescetti di poco pregio ma di bassissimo costo che, seccati o congelati, vengono ridistribuiti in tutta l’Africa dove rappresentano spesso la proteina animale di miglior prezzo. Una specie di benedizione per quelle popolazioni. L’unico divertimento possibile a Tombwa è prendere la macchina e correre come disperati sull’enorme bagnasciuga, allontanandosene solo per scalare e poi discendere in picchiata le altissime dune. Chi ci ospitava ci portò a fare questa specie di ottovolante. Arrivò la notte e uscirono dalla sabbia, sul bagnasciuga, alcuni miliardi di granchietti bianchi. Noi viaggiavamo a folle velocità, nel nero assoluto e vedevamo questa distesa di granchietti alla luce dei fari. Ne uccidemmo un battaglione, che porto dolorosamente sulla coscienza.

Torniamo all’Isola Dos Tigres.

Lungo il bagnasciuga, nella zona della Ilha dos Tigres. Foto di Nuno Silva 1976 da Tripadvisor.

Quando i pescatori portoghesi ed i loro collaboratori angolani se ne andarono, lo fecero con molta sollecitudine. In altre parole: scapparono, con poche cose. Lasciarono lì quasi tutto, che fu poi immediatamente razziato dalla gente di Tombwa. Lasciarono anche dei cani che si ritrovarono, da un momento all’altro, senza padrone e senza cibo.

La storia che mi hanno raccontato è che questi cani, già abituati a convivere con dei pescatori, lo divennero a loro volta, spinti dalla fame. Finirono per organizzarsi in mute, tuffarsi nel mare e prendere quei pesci che si avvicinavano a riva. La vita per questi cani era molto dura (non so come facessero per l’acqua) e, di generazione in generazione, erano diventati estremamente feroci. Non avevano ormai nessun contatto con gli uomini.

Alla fine della guerra civile, nei primi anni 2000, la situazione del paese si normalizzo e le zone abbandonate cominciarono ad essere nuovamente percorse. In vista della ripresa delle attività di trasformazione del pesce nell’isola (che, cmq, non c’e’ mai stata) dei militari vi sbarcarono e sterminarono a fucilate i cani selvaggi.

Questa è la storia come me l’hanno raccontata.

Il turismo non è del tutto assente nella regione. Sull’isola non ci va nessuno perché è logisticamente difficile portarci una barca per attraversare lo stretto. Ma sulla costa c’e’ una certa presenza di turisti che vanno da Tombwa verso la Namibia e la sua Costa degli scheletri; alcuni sudafricani vengono da casa loro e percorrono tutta la costa. Non ci sono strade all’interno e quindi passano tutti quanti sul famoso bagnasciuga. Usano soprattutto le Land Rover. Bisogna saper guidare sulla sabbia. Dove le dune si gettano a picco nell’acqua, devono essere aggirate alle spalle. La sera organizzano un campo. Fra Tombwa e la prima città della Namibia, dove ricomincia la strada ci sono circa 500 chilometri di assoluto fuoristrada.

La zona è molto suggestiva, ma francamente monotona. Ma il percorrerla permette di arrivare alla foce ( e di risalire) il fiume Cunene che segna il confine fra Angola e Namibia. E questi son raccontati come posti assolutamente spettacolari. Più all’interno ci sono distese sconfinate di savana ed ancora deserto, con molta fauna e stupendi paesaggi.

Difficile e carissimo andare in quei posti. I turisti italiani vanno numerosi in Namibia, da qualche anno. Molto più semplice da viaggiare, molto più calma. Ma molto meno interessante.