Come distruggere un paese

Come distruggere un paese

Febbraio 12, 2018 0 Di ilviaggiatorecritico

Alcuni palazzi sono di architetti di fama mondiale e di grande bellezza.

I Libanesi sono commercianti da quando erano Fenici e battevano tutto il Mediterraneo, trafficando e stabilendo basi. Hanno continuato a farlo fino ai giorni nostri impiantando comunità in America Latina fin da fine ‘800 e poi in America del Nord, in Africa, in Francia. Questo fenomeno si è particolarmente intensificato durante la guerra civile fra il ’75 ed il ’90, quando molti giovani raggiungevano le loro famiglie all’estero, per trovare un’alternativa alla carneficina in patria. Si parla di famiglie in senso vasto: un padre poteva mandare il proprio figlio da un cugino di terzo o quarto grado, che viveva in Costa d’Avorio, per fargli fuggire la guerra. Ed il bis-bis-cugino, che magari non lo aveva mai visto, accoglieva il giovane e lo inseriva nei propri traffici (traffici, non commerci).  Ma gli emigrati continuano comunque ad avere grande attaccamento al loro luogo di origine, anche dopo generazioni di distacco.

I metodi commerciali, economici, finanziari e politici caratteristici dei libanesi formano una galleria degli orrori etici di straordinaria vastità. Grazie a questi metodi molti emigrati hanno riunito capitali anche importanti. Inoltre Beirut è sempre stata una piazza finanziaria di prima grandezza con un livello di trasparenza pari a quello del Mar Nero. Quindi i soldi abbondano.

Una volta finita la guerra e fino ad oggi, molti dei libanesi anche modestamente arrichitisi all’estero, hanno deciso di investire una parte dei loro capitali a casa. Allo stesso momento la pace ha dato il via a numerosi programmi pubblici ed internazionali per la ricostruzione di Beirut e del paese intero, uscito dalla guerra in ben pietoso stato (“il centro era un deserto polveroso” cit.). Inoltre i petroldollari arabi amano molto essere investiti a Beirut che rappresenta, per le oscure oligarchie dei paesi arabi produttori di petrolio, una specie di zona franca fra il mondo arabo ortodosso, ma asfittico, e l’Occidente libero, ma corrotto.

Questi fatti, concomitanti, hanno portato alla distruzione del Libano, una delle principali culle della civiltà mediterranea. Così, semplicemente, si sono fottuti un paese.

I Souks di Beirut hanno ripreso il disegno tradizionale, ma sono vuoti, grandi e tristi.

Il centro della città è stato completamente ricostruito; degli storici mercati non vi è rimasto che il nome: Souks di Beirut. Dove prima c’erano i tipici fondaci coperti mediorientali, ora vi è una sorta di centro commerciale di gran livello, dove si è mantenuto un disegno che può ricordare l’antico mercato, ma che di questo ha completamente perduto la vita, l’atmosfera, la funzione. Si è passati da un luogo dove la vita si aggrovigliava, ad un deserto umano e culturale, totalmente asettico. Nei dintorni sono stati ricostruiti quartieri interi, commerciali e residenziali; destinati alla classe più alta ed allo shopping delle mogli degli sceicchi arabi. Ristoranti di lusso. Son quartieri anche belli, ma perfettamente insulsi. Vi è un gran odore di soldi, in quelle poche vie. Gli sceicchi ve ne spendono a piene mani. In tutta la zona la sicurezza regna sovrana: militari dell’esercito e dei corpi privati ad ogni angolo, numerosi agenti in borghese che scrutano i passanti, barriere ovunque.

Altrove è anche peggio. In Libano, le montagne si gettano quasi in mare creando un bellissimo paesaggio. Queste pendici sono state sommerse da rutilanti condomini che le ricoprono completamente per decine di chilometri, lungo la costa. Somiglia molto a Genova, ma di lusso e di enorme estensione. Scintilla il vetro-cemento sotto il sole mediterraneo.

La stessa cosa avviene nella spettacolare Valle Santa, nel cuore della zona maronita, alle spalle di Tripoli, verso nord. I numerosi villaggetti, ricchi delle bellissime casa tipiche di biondo calcare, sono stati soggiogati da una marea montante di villozze pretenziose e spesso cafoncelle. Il desiderio di apparire ricchi è superiore al rispetto del paesaggio e della storia (ed anche delle proprie finanze, mi dicono, in quanto alcuni le fanno indebitandosi assai). E quindi i margini superiori del grande canyon, sulle cui pareti si incrostano monasteri centenari, sono deturpati da tante costruzioni. Che sono poi materialmente fatte dai rifugiati siriani che lavorano molto e prendono poco.

Povera cara vecchia villa tradizionale. Sul lungomare di Beirut.

Va da se che il rispetto per l’ambiente è cosa sconosciuta; degli stessi famosi cedri del Libano, non ne è rimasto che qualche ciuffo isolatissimo. Quindi le campagne e le montagne libanesi sembrano essere un vasto cantiere, dove si costruisce incessantemente, a spese di una natura ormai sostiutita dai rifiuti dell’umana vita. Le spiagge sono cumuli di immondizia. Abbastanza desolante.

Si è stupiti dal fatto che il Libano sia grande come l’Abruzzo, abbia la stessa popolazione del Veneto e il PIL procapite della Bulgaria, ma che abbia un patrimonio immobiliare incredibilmente vasto. Come si spiega? Molte case sono abitate solo durante le vacanze che gli emigrati trascorrono in patria; quelle lussuose sono affittate al gran numero di turisti arabi (sauditi, del Golfo, giordani) che amano passare le loro vacanze in un luogo più libero di casa loro; molte proprietà fanno semplicemente status ed altre sono puro riciclaggio.

Ma di tutto ciò, quel che interessa al turista è che molto del bello del Libano è ormai finito sotto il cemento.