Vivere all’estero
La globalizzazione ha vinto, siamo ormai tutti cittadini del mondo e potenzialmente liberi di andare a vivere all’estero; là dove vogliamo; ormai ci siamo spogliati delle ristrettezze dei patri confini!
Verissimo, ma dove andiamo? Chi è nato nei paesi poveri non ha dubbi! Va nei paesi ricchi. Ma chi è nato nei paesi ricchi, che fa? Il Viaggiatore Critico è una vita che si sta facendo questa domanda e non è ancora riuscito a darsi una risposta. E sta perdendo la speranza di trovarne mai una.
Vediamo i luoghi che ha preferito per vivere all’estero. La città più bella e più piacevole che abbia mai visto ha un dolce nome: Rio de Janeiro. Paesaggi stupendi, mare meraviglioso, vita frenetica, gente simpatica, un grande paese, molte cose da fare, prezzi abbordabili, non manca niente (buona cucina a parte). Il brasiliano si impara facilmente. Ma gli inconvenienti sono importanti. Il primo è l’insicurezza; tutto il continente, tutto il paese ha un livello di microcriminalità altissimo e soprattutto scellerata. Non si limitano al borseggio, vanno giù duro di rapina e, se reagisci, di omicidio. Non succede tutti i giorni, ovviamente, ma lo straniero è una preda preferenziale e finisce per vivere con il timore costante. Ha paura a passeggiare la notte, si guarda sempre intorno, evita posti che ritiene pericolosi, magari a torto. Insomma, vive malamente e non si gode la vita che si è scelto.
Altro luogo bellissimo: Cadice. Posizione eccezionale, clima buono, città quasi integralmente pedonale e molto affascinante, folclore, prezzi ben inferiori a quelli italiani, gastronomia succulenta, vini eccellenti. Lo spagnolo ce lo abbiamo in tasca, basta aggiungere una s finale alle parole italiane, come tutti gli utaliani sanno perfettamente. Il Viaggiatore Critico ben conscio di quanto appena detto ci ha abitato alcuni mesi. Poi gli sono scoppiate le palle dalla noia e se ne è dovuto andare. Popolazione locale affabile ma di scarsa profondità filosofica.
Alla ricerca di gente carina si è spostato a Santiago del Cile, dove gli abitanti sono di una gentilezza e cortesia rimarchevoli. Clima decente, prezzi decenti, capitale e quindi molte cose da fare. Lingua sempre lo spagnolo. Ma ci sono due inconvenienti importanti: per prima cosa si è in fondo al mondo e lo si sente: pare di essere finiti nell’ultima stiva della nave Terra e ci si sente un po’ isolati. Oltre a lì c’e’ solo la Patagonia, per dire…. E poi c’e’ ovunque un senso di abbandono che scoraggia e deprime. E probabilmente i due inconvenienti sono strettamente legati.
Ad esclusione del Cile e di Cuba (dove però, non si può andare a vivere) e parzialmente dell’Argentina (che ha i suoi forti inconvenienti antropologici), tutto il continente sudamericano va scartato dalla lista dei luoghi dove trovare una vita migliore che in Italia. A causa dello stesso problema del Brasile. L’insicurezza. E così ci siamo giocati un continente intero.
I pensionati italiani hanno a loro disposizione un criterio importante per scegliere la loro nuova residenza: la defiscalizzazione. Chi prende la residenza all’estero non paga le tasse in Italia ed alcuni paesi non tassano i pensionati stranieri che vi si trasferiscono. Le due cose sommate fanno sì che i pensionati italiani, che vi abitano almeno 181 giorni l’anno, si mettono in tasca la pensione lorda e non netta. Una benedizione per un popolo (quello italiano) che ha fatto dell’evasione fiscale il suo massimo valore. Ed in questo caso è anche legale. Questi paesi sono la Tunisia, la Bulgaria, il Portogallo, il Cile, che io sappia. Ci vanno in molti, ma sono ormai troppo anziani ed acciaccati per godersela.
C’e’ poi la possibilità di trovare dei luoghi remoti, dei villaggi persi nella natura, delle pieghe della geografia dove installarsi e dimenticarsi di se e del mondo. Un sorte di Lete d’oggi. Molti di questi luoghi sono stati trovati dal Viaggiatore critico: Corvo, Pellestrina, Grand’Riviere, Kassos, il Sikkim, la penisola di Paria. Ma li ha abbandonati, per un motivo o per un altro, ma soprattutto per la noia che ti pervade in poco tempo. Che te ne fai di un paradiso terrestre di pochi km quadrati? La calma e la serenità, quanto a lungo puoi sopportarle prima di cominciare ad ululare alla luna?
Bisogna quindi cercare un luogo dove essere attivi, produttivi, intraprendenti; per guadagnare dei soldi e della visibilità sociale? Questo può andar bene per alcuni, ma non per tutti. Per i giovani affamati di quelle cose o per vecchi che continuano a non capire. Si andrà allora in Canada, in Quebec; dove le possibilità sembrano vaste, aperte, allettanti. Aspettano voi, andate. Ma poi ci si ritrova in un contesto sociale di gente gradevole e simpatica, ma straordinariamente semplice e di poche dimensioni. Un europeo non si stressa; vince facile (nel paese dei ciechi l’orbo è re….), ma son posti che gli vanno stretti; oppure è lui ad essere troppo largo di testa per entrarci. E non si parli poi degli Stati Uniti imperiali, arroganti e paranoici.
Resta quindi l’Europa, casa nostra. Il nord continentale ci ha sempre attratto. Come non desiderare la Finlandia? Come non buttare un pensiero agli stati baltici? C’e’ chi agogna l’olimpica serenità della Danimarca, la vitalità di Londra, l’efficienza olandese. Ma poi uno ci pensa meglio e si scoraggia, se non è spinto dall’urgente bisogno di trovare un lavoro che l’Italia infame gli nega. Le lingue locali sono ostiche ed un emigrato finisce per condannarsi all’esclusivo uso dell’inglese, almeno per anni ed anni. Il calore è assente dal clima come dalle genti, e ciò son due pesi grevi. Certo, donne bellissime e questo può essere un valido motivo per scegliere quei paesi. Ma son posti cari, molto. Quindi o si guadagna bene o ci si condanna ad una vita misera, inferiore a quella dei locali. Gli stormi di italiani che lavano i piatti a Londra dividono casucce e stanzette, non se la passano mica bene. E per chi vive senza aver bisogno di lavorare, il nord Europa è, spesso, insopportabilmente caro. Poi bisogna andare a vedere le difficoltà di ogni paese: francesi, tedeschi ed olandesi stanno ben al disotto della soglia della simpatia. I norvegesi ti guardano dall’alto in basso. I baltici sembrerebbero più simpatici, ma sono accoglienti? Mai sentito dire… E così ci siamo giocati anche questa parte di mondo.
Molti vanno a vivere all’estero in Asia. Ma pochi ci restano. In Giappone ed in Cina non ti ci fanno stare, in India nessuno ci resiste, mai sentito di stranieri felici in Corea. Certi si accomodano in Thailandia con successo esistenziale. Ma ho sempre avuto l’impressione che restino pesci molto fuor d’acqua. Corpi estranei accettati, ma mai integrati. Deve essere una vita comoda: economica, pacifica, gentile, liscia. Ma il senso di estraneità sarebbe troppo forte per me.
Più facile l’integrazione in Africa, ma le difficoltà quotidiane della vita ed i costi, per voler conservare un livello di vita all’europea, farebbero perder la pazienza a San Francesco; anche come sicurezza non siamo al massimo. Andrebbe visto meglio il Sud Africa e specialmente Città del Capo; ma anche lì il problema della sicurezza e delle tensioni etnico – sociali non devono essere acqua fresca.
Resta il Mediterraneo, che è ancor più casa nostra dell’Europa. Come non voler vivere nella nostra patria culturale che è la Grecia? E la Tunisia, così vicina, così simile, così diversa?
Che il segreto di vivere all’estero stia nel cambiare ma non troppo? Andare a trovare delle diversità gestibili, senza perdersi in quelle che ti travolgono e che finiscono per alienarti? Sfuggire dall’Italia ormai insopportabilmente malata, ma senza gettarsi nell’estremo esotico che ti affascina per un momento e ti sfibra a lungo andare. E quelli, invece, che si son persi in America sud/nord od in Asia e che non son mai tornati? Si saranno spiaggiati come balene moribonde in lidi alieni o si saranno fatti il loro nidino di serenità? Incapaci di tornare pur volendolo o felicemente integrati? Io penso la prima; un po’ come l’ergastolano che ha paura di uscire. Non è un bel risultato.
Ed in preda a questi dubbi il Viaggiatore critico si aggira per il mondo, cercando la sua cuccia, dove vivere all’estero.
Bellissima riflessione Viaggiatore Critico, che di fatto accompagna tutta quella parte di persone che nel suo spirito più intimo è rimasta e sempre sarà nomade, dal mio umile punto di vista. Ci saranno posti che a seconda dei momenti delle nostre vite saranno fantastici, ideali, perfetti, gradevoli…almeno per un po’; ma prima o poi il viandante si risveglierà dal suo torpore, e vorrà migrare verso la prossima destinazione. Come direbbero i Talking Heads, “we are on a road to nowhere”, o almeno io la vedo così.
Volendo dare il mio contributo in termini di posti, alcuni di quelli menzionati li conosco più o meno bene.
Da quasi sei anni vivo vicino a Gibilterra, quindi Cadice qualche volta l’ho bazzicata…carina (pare abbia il centro storico più densamente popolato d’Europa), come tutta la zona del resto, ma culturalmente desolante, e non solo nelle offerte. Dovendo consigliare un posto, meglio Malaga, più vivace e secondo me, anche più bella.
In Canada ho passato un annetto un po’ di anni fa, a Toronto, e non navigavo certo nell’oro. Personalmente, Vancouver e Montreal sono città molto gradevoli, la seconda molto più fredda della prima, il grosso dubbio per me rimarrebbe legato allo stile di vita.
Fosse per me, probabilmente sceglierei Atene. Città mediterranea, gente amichevole, possibilità di integrarsi in una comunità, isole Cicladi molto vicine se si sente il bisogno di staccare, prezzi abbordabili per tanti tipi di tasche diverse.
Scogli: la lingua, su cui bisogna lavorare, gli stipendi generalmente abbastanza miseri, un sistema sanitario non esattamente efficiente. Ah, e se vi piace l’ordine e l’organizzazione, si casca male.
Bel post, valido per quanti avranno una pensione degna di questo nome (non io). Detto ciò, e sperando di non scocciare, si potrebbe avere qualche dritta più precisa su Cadice? Non ho trovato nel sito articoli specifici (forse per colpa mia) ma la città è un po’ che mi intriga. òevo una preghiera al Viaggiatore critco affinché m’illumini…
Beh, colgo l’occasione per scrivere un post su Cadice, cosa che mi sono sempre riproposto e mai fatto. Seguimi e fra qualche settimana esce. Per il tuo articolo su Marsiglia, scrivilo pure come ti viene, poi magari ci do un’occhiata prima di pubblicarlo.Puoi mandarlo a viaggiatorecritico@yahoo.it Mettici cuore e pepe, qui non si fanno sconti.
Vivo a Tokyo da più di dieci anni e ci sto scientemente bene.
Efficienza, pulizia, zero tensioni sociali, sterminate possibilità ed elevata qualità della vita sono ottimi ingredienti per un trasferimento.
Vanno però contrapposti ad una cultura diametralmente opposta a quella italiana, quindi – nonostante parli la lingua – i rapporti interpersonali non son per nulla facili.
Sebbene lingua e visto siano due barriere all’ingresso non da poco, se superate e si riesce a compromettere in parte sulla cerchia delle relazioni, credo che questa città sia impareggiabile.
Ah, purtroppo anche le estati (caldissime ed umidissime) sono una nota dolente, ma nonostante ciò, in Italia non ci tornerei, se non per turismo.
Molto interessante quel che dici. L’opinione comune è che in Giappone sia impossibile vivere. E si cita Tiziano Terzani che ci provò convintamente e dovette rinunciare. Oppure Delfo Zorzi, rarissimo ed oscuro caso di rilascio della cittadinanza giapponese ad un italiano. Però è vero che ho conosciuto due italiani caduti in dipendenza del Giappone dal quale non sapevano staccarsi. Sarebbe bello capire i motivi profondi di questi diversi comportamenti. Ho l’impressione che esista una sorta di fascinazione dell’esotico che ti prende e non ti lascia. Una dipendenza dalla stranezza. E probabilmente il Giappone è il posto più esotico che ci sia, proprio perchè molto diverso eppure nel primo mondo. Se ti andasse di scrivere qualcosa te lo pubblico volentieri, a tuo nome. 1000 parole ed almeno due foto. Se hai l’italiano arrginito, ci do un’occhiata.
Credo che il Giappone vissuto da Terzani fosse molto meno digeribile di quello di adesso: allora gli stranieri erano rari come i chiari di luna.
Adesso, complice anche la globalizzazione, nonostante rimanga un paese insulare con una cultura profondamente diversa dal resto dell’Asia, è molto più “masticabile”, specie se si vive in una metropoli come Tokyo.
In estrema semplificazione, credo che il Giappone attragga per il suo “mistero”, ma sia difficile da penetrare e comprendere, specie per noi occidentali: quindi, chi riesce a decifrare il codice per capire come funziona la vita qui (e la accetta, ovviamente), ci rimane volentieri, mentre chi si arrende di fronte a questo muro invisibile, torna a casa a gambe levate.
Provo a buttare giù un paio di idee: se viene fuori qualcosa di interessante te lo invio volentieri. Non son propriamente uno scrittore, quindi non riesco a promettere sulla qualità dell’elaborato.
Te lo mando alla mail di Yahoo?
Si, viaggiatorecritico@yahoo.it
MI hai lasciato così, come un film dal finale amaro.
Forse non c’è risposta a questa domanda per chi cerca, forse il segreto è non cercare, ma vivere e fare in modo che il posto che scegli sia quello giusto.
In fondo, come si può basare una scelta cosi “istintiva”, fatta di sensazioni, su degli elementi cosi “statistici” (clima, spazi, numero di persone, PIL, ecc..)?
Fatto sta che ho l’impressione che si continuerà a vagare “criticamente” per un bel po’.
Buona ricerca “critica”.
Vancouver?
Bravo! Ne parlano tutti benissimo, non ci sono mai stato, mi fanno un pò paura quegli spazi infiniti e ventosi verso il freddo Pacifico. Ne sai qualcosa? Spiegacelo.
….molti pensano ad una vecchiaia trascorsa in un clima mite e gradevole. Io stesso, ho spesso pensato alla Grecia, che amo moltissimo. Ma le necessità dell’età avanzata hanno più a che fare con assistenza sanitaria efficiente, contesto sociale sereno ed equo, bassa criminalità, occasioni culturali e possibilità di godere della natura. Vancouver ha molte di queste caratteristiche incluso un clima meno punitivo della costa orientale del Canada, contesto multiculturale e procedure di ingresso al paese più semplici di altri paesi del Commonwealth (leggi Australia). Chiudo, però, con una considerazione personale: non potrei mai vivere senza percepire il senso di una comunità in cui sentirmi integrato. Questo è quello che cerco nei miei viaggi e questo è quello che mi auguro di trovare al tramonto di questa vita terrena. Chissà…magari alla fine scoprirò di sentirmi a casa in un villaggio dell’Appennino tosco-romagnolo senza particolari attrattive climatiche e culturali ma con un forte senso di spiritualità e poesia. Buona ricerca “critica”!