L’Austria ed il puzzo di rinchiuso
L’Austria ha un sacco di vantaggi. E’ vicina, ci si va in macchina, ha belle montagne, fanno lo strudel buono, si spende poco, ha una capitale importante, ha delle belle ciclovie lungo il Danubio e la Drava, ci son perfino le terme. Niente di veramente eccezionale, ma un sacco di piccole cose piacevoli. E’ probabilmente per questi motivi che l’Austria raccoglie numerosi premi come destinazione turistica raccomandabile. Anche quest’anno (2019) si è piazzata al primo posto di una importante classifica).
Ma c’e’ un problema grosso, che è saltato agli occhi del Viaggiatore Critico. E il problema sta proprio in quell’aggettivo usato poco sopra: piccolo!
L’Austria è un posto piccolo. E ciò non sarebbe affatto un male se non fosse per il fatto che l’Austria soffre di esser piccola. Il cuore di quel popolo si deve esser fermato al tempo in cui il paese era il grande Impero dell’Europa Centrale e sul trono sedeva incontrastato e baffuto Cecco Beppe.
Sembra che gli austriaci non riescono a riprendere contatto con la realtà che è, oggi, ben diversa. Si afferrano quindi a quei vecchi e sbiaditissimi ricordi cercando di tenerli in vita, senza riuscirci. Mille sono gli alberghi o i rifugi o i luoghi che ricordano nei nomi il passaggio dell’imperatore o della stucchevole Sissi. Quanto tempo pensano di poter andare avanti cullandosi su un passato che, a veder bene, non fu nemmeno tanto dorato?
Infatti quel periodo corrisponde grossomodo a quel che noi chiamiamo l’Italia Umbertina; un periodo di cattivo gusto negli arredi e nell’abbigliamento, di oppressione sociale, di malessere psicologico, di ristrettezze più mentali che economiche. Anche di fucilate contro i contadini e gli operai. Non è certo per caso che fu proprio in quegli anni che l’inconscio, molto compresso e represso, finì per scoppiare e si fece riconoscere, proprio a Vienna, grazie a Freud. Ed ancora: tanta oppressione e meschineria portarono da una parte alla sollevazione dell’Ottobre Rosso; dall’altra alla carneficina della I guerra mondiale. Ed infine, quell’eopaca, da noi, fu spazzato via dalle idee (purtroppo peggiori del male) del fascismo che si voleva purificatore ed energico.
Insomma, l’Austria sembra rimasta ancorata a quel vecchio, caro, piccolo mondo pieno di cose di pessimo gusto. La stessa fantastica Vienna è in verità assai deludente. Il famoso circuito del Ring che ho percorso più e più volte in bicicletta è piuttosto modesto.
In Trentino si loda ancora e si rimpiange la pignola amministrazione dell’Impero Asburgico, contrapponendola alla cialtronaggine dell’organizzazione italiana. Ecco, pignola, precisa, un pò ottusa, certo onestissima; ma priva di qualsiasi slancio.
La musica tipica di Vienna è l’Operetta. Non Opera, Concerto, Dramma o Tragedia. Solo operetta: graziosa, leggera, poca. Dove leggerezza non è un un attributo positivo, indica piuttosto inconsistenza. Adatta, appunto, agli spiriti semplici.
Se si va in giro per l’Austria rurale si troveranno bei paesini con deliziosi Biergarten (giardini della birra) dove ci si può sedere a bere birra sotto il fresco di un alberone, serviti da una robusta signora con il grembiulino finto-tradizionale ed il marsupio nero con i soldini dentro. Dopo un pò ti è venuta la pancia del bevitore e sei stravolto dalla monotonia. Perchè tutto è estremamente ripetitivo, privo di fantasia, rigidamente codificato.
Non si avverte un salto, un guizzo di aria fresca, una galoppata: solo il composto ed alienante balletto dei loro poveri cavalli lipizzani che vengono addirittura presentati nel palazzo dell’Imperatore. Magnifiche besti costrette a fare i passettini di una damina cinese dai piedi atrofizzati. Una tortura per le cinesi, per i cavalli, ma anche per noi che li osserviamo.
Eppure ci sono anche palazzi moderni e buone infrastrutture e spiagge nudiste sul Danubio, ai margini di Vienna. Ma vi è anche un perenne stato di scarsa manutenzione, di leggero abbandono, di invecchiamento generalizzato, di intristita decadenza, un velo di polvere su tutto.
Il Palazzo Imperiale a Vienna è invaso da turisti; forse per questo motivo non riesce a dare una impressione di maestosità; solo di grandi dimensioni, ma un pò disordinate. Non se ne capisce bene lo sviluppo.
Il centro storico è inquinato dai soliti negozi uguali in tutto il mondo e dai chioschi di wurstel, che sarebbe il massimo della cucina locale, subito dopo le braciole fritte. Vertici insuperabili!
Le città alpine, Innsbruck o Lienz o Klagenfurt sono certamente graziose, ma assolutamente niente di più. A Salisburgo c’e’, alla stazione, un bellissimo posteggio per le biciclette. Questo è quanto il turista ritiene del suo viaggio.
Un viaggio in Austria è un’immersione in una atmosfera un pò sbiadita, monocorde, di sentimenti semplici ed un pò dolciastri. Ma anche di stallo, di impasse, di stanca ripetizione di un clichè. Si respira in quel paese un puzzo di rinchiuso, di abiti troppo a lungo portati, di piedi che hanno percorso molto strada.
Una impressione generale di stantio. Non so se vale veramente la pena di andarci.
Gran bel post ^_^
Un’ottima riflessione.. disincantata e con “i piedi per terra”.. e a dire il vero anche con i piedi nella storia..
Cosa dire.. credo anche io valga comunque la pena andarci, perchè questa piccolezza è anch’essa un prodotto storico di una grandezza decaduta, di un’Austria dai pochi slanci e dalla molte ferite. Nascoste con pudore e dignità di normalità senza più inquietudine.
Ma questa rabbia nascosta, dormiente, forse più latente che dormiente, così simile a rassegnazione, ricorda molto il calcio a Colloredo.. episodio di memoria imperiale.. eppure già disillusa.. molto tempo prima di Freud e della grande guerra.. prima di Cecco Beppe.. per riflettere, accompagnati da Tomasi di Lampedusa, che “l’eternità nobile” dell’Austria già da tanto era in agonia..
Vale comunque la pena andarci!