L’infinita monotonia del Sudamerica

L’infinita monotonia del Sudamerica

Agosto 7, 2017 0 Di ilviaggiatorecritico

Pascolo sudamericano. Ve ne sono miliardi così.

Il viaggiatore che avesse voluto fare il giro delle capitale sudamericane in bus, al termine del suo viaggio, avrebbe percorso 18.000 km, ma avrebbe visto ben poco dal finestrino. E non solo perchè rincoglionito dalla musica a palla, dai film di kung fu trasmessi sulla TV di bordo in contmporanea con la musica, dal sonno, dalla gelida aria condizionata. Ma soprattutto perchè il paesaggio sudamericano è straordinariamente monotono (con la sola lodevole eccezione delle Ande). Predominano amplissimi pascoli maltenuti, recintati dal filo spinato infisso su alberelli tristi e fitti; pascolano, semibrade, mucche apparentemente felici (ma del cui stato di salute, un veterinario europeo inorridirebbe). Le uniche ad esserlo, certo più dei muli, asini, cavallini di incertissima genealogia, ma di certissimo duro lavoro quotidiano, condito da maltrattamenti.  A volte si vede un pò di aridità, a volte molti alberi, ma la sostanza è il pascolo abbandonato alla volontà di Dio.

Povere bestie, povera gente.

Ma anche tutto il resto è monotono: la lingua è sempre la stessa: spagnolo o portoghese; la cultura è molto simile, la storia è andata sullo stesso binario, la religione è ovunque la stessa, l’architettura, coloniale o moderna, è tutta simile. L’aspetto delle periferie attraversate dal bus del nostro viaggiatore è straordinariamente uguale, ovunque: case basse, brutti hangar industriali o commerciali maltenuti, enormi e pervasive insegne onnipresenti. E’ il tripudio della cartellonistica commerciale: non vi sono regolamenti municipali, non vi è design. Vince chi ha il cartellone più grande ed usa i colori più accesi. Squallore, sporcizia e tristezza.

Ho già scritto dell’infelicissima condizione umana sudamericana e questa è certamente la causa principale della piattezza di quel continente. Popoli malmenati dalla storia, società autoritarie e violente, individui rigidamente fissati nei ruoli sociali e privi di libertà. Il risultato è l’inesistenza della speranza, il dominio della depressione, l’attendismo e il fatalismo. Quando lo capisci, non hai più voglia di andarci.

Squallore, commerci, case cadenti, fili elettrici ovunque.

Il possesso della terra tenuta a pascolo è un fortissimo status symbol ed è appannagio delle grandi famiglie. Il bestiame, el ganado, è sinonimo di famiglìa antica, nobile. Ma i ricchi disdegnano il lavoro e non si curano dei loro sterminati latifondi che producono frazioni di quel che potrebbero dare. Aziende agricole infinite che non ricevono attenzioni ed investimenti e sono miseramente destinate alla meno produttiva delle produzioni: l’allevamento bovino. Che però da grande prestigio sociale: quando la domenica si va in fattoria, con il cappello da cow boy, i jeans e la camicia a quadri a mangiare pantagruelici barbecues di carne troppo cotta.

Ecco perchè il nostro viaggiatore vedrà quasi esclusivamente pascoli maltenuti. I proventi che pur danno, saranno investiti in attività finanziarie, a far compere a Miami, ad arredare attici nei grattacieli delle capitali. Certo non saranno mai investiti nell’azienda. E non si parli di pagare decentemente i lavoratori.

Ma nelle capitali chi può se ne frega, delle miserie.

Quando i proprietari si curano della loro terra, cercheranno di seminare prodotti miracolosi, che li arrichiscano in mesi, non in anni. In tutto il continente vi è la perenne rincorsa al prodotto innovativo, capace di entrare sui mercati internazionali: l’esportazione è il miraggio. Ma raramente riesce e spesso causa più indebitamento al paese che reddito ai suoi abitanti. La regola è che le grandi famiglie ricevono sussidi statali per introdurre tali innovazioni. Quando (quasi sempre) falliscono, il debito è cancellato e rimane alla collettività.

E non si può certo chiedere ai miserrimi operai agricoli o ai poveri piccoli proprietari di terra di migliorare il proprio ambiente: vivranno in povere case malandate, in paesi senz’anima e decoro. Le amministrazioni locali poco possono e meno fanno. Servizi a zero e migliorie urbane assenti.

Quindi il nostro viaggiatore attraverserà un miliardo di cittadine, paesi, villaggi, frazioni, tutti tristamente uguali e squallidi. Pieni di una umanità arresa e solo desiderosa di andarsene o di bere. O di sfogarsi con una violenza inarrestabile.

Ed in questi centri, più o meno urbani, il viaggiatore troverà il trionfo del commercio. I paesi sudamericani sono in mano a quella borghesia sfacciata, che ha fatto e mantiene la propria fortuna sul commercio. E’ il Vangelo di quel continente: non vi sono regole, condizioni, protezione per il consumatore, sistemi fiscali che reggano. L’imperativo è vendere: del resto la popolazione urbana è giovane, sta cercando di uscire dalla miseria rurale ed è desiderosissima di beni. Aprono le porte infiniti negozi con le loro scritte urlanti e colorate. Le merci spesso sono di bassa qualità, malamente offerte, per niente valorizzate. Commessi più attenti a non farsi rubare la merce, che a servire il cliente. Clienti creduloni e raggirabili. Tutto terribilmente dozzinale. Pur di avere, si compra cianfrusaglia.

L’immagine simbolo delle periferie sudamericane.

Mercati e mercati, quartieri commerciali, banchi dappertutto, ambulanti ovunque, musica, casino, merci, merci, merci. E questo, sempre uguale, durante i 18.000 km del nostro viaggiatore. E sulle arterie, soprattutto meccanici, gommisti, magazzini di ricambi auto. Il parco auto vetusto, la poca perizia nella guida, lo stato delle strade, l’improvvisazione di molti meccanici fanno sì che le auto siano bisognose di continue cure e ricambi.

Tutti questi elementi saltano alla vista del nostro viaggiatore. Più difficilmente, egli,  avrà una esatta percezione di quella strana e complessa cosa che è la cultura sudamericana.  Quella grande omogenietà linguistica, storica ed anche culturale del continente, avrebbe creato un unico e formidabile popolo, nei sogni del Libertador Simon Bolivar. Purtroppo non è stato così. Sono popoli troppo schiacciati prima dai Conquistadores, poi dai latifondisti, poi dalla borghesia commerciale, poi dagli attuali imperi finanziari; troppo schiacciati per riuscire a crearsi un proprio autentico cammino.

L’architettura coloniale, per quanto gradevole, è estremamente ripetitiva.

Sono popoli diversi e che spesso si odiano pur condividendo il 90% delle caratteristiche culturali. Queste restano però frammentarie, esili, contraddittorie, dispari. Il viaggiatore attento si troverà, quindi, difronte all’infinita ripetizione degli stessi schemi culturali, da un capo all’altro del continente; ma li troverà sostanzialmente inconsistenti. Niente a che vedere, per intendersi, con la strordinaria forza culturale degli africani, che lascia basiti e meravigliati.

La moda dei viaggi in Sudamerica, da parte degli italiani è mutevole. Ebbe un auge negli anni ’70 ed ’80 soprattutto nella sinistra giovanile; sulla spinta del Che Guevara, di Jorge Amado e di Garcia Marquez; della rivoluzione nicaraguense, dei movimenti centramericani, peruviani;  della solidarietà alle immani tragedie cilene e ed argentine. Ed il modello era proprio quello di andare in giro con i bus, molto più avventurosi a quei tempi, e di mescolarsi alla popolazione, visitando i gruppi e le iniziative dei compagni rivoluzionari. Facendosi, nel contempo, un sacco di canne e poi di coca.

Il sovrano delle strade sudamericane.

Ma quel movimento turistico si esaurì. Forse per il mutato ambiente politico europeo, forse per l’invecchiamento di quei turisti. Ma probabilmente perchè la gente ha finito per capire che si trattava di un ‘infatuazione con poca sostanza. Esattamente come i romanzi, di fama del tutto passeggera, di Garcia Marquez con il suo stucchevole (ma che piaceva tanto) realismo magico.

E l’America Latina, come destinazione turistica globale, è crollata. ormai non ci va quasi più nessuno. Alcuni a Macchu Picchu o nei resort sulle spiagge. Che tristezza.