E’ Lisbona che viene, non tu che vai.

E’ Lisbona che viene, non tu che vai.

Marzo 29, 2016 3 Di ilviaggiatorecritico

IMG_20150218_124244Lisbona non è una città, è uno stato d’animo. Non si va a Lisbona; Lisbona ti prende per mano, ti accompagna e probabilmente non ti lascerà più. E’ Lisbona che viene in te.

Per me Lisbona sono i marciapiedi di pavé bianchissimo, piccolo e di superficie irregolarmente fratta. E’ il colore della luce: inimitabile, terso, freddo, triste, ma che procura addizione. Sono i colori pastello dell’architettura rotondeggiante e serena della prima metà del ‘900. E’ l’azzurro delle mattonelle che rivestono chiese e palazzi. Lisbona è fatta di colori.

Ma Lisbona è anche lontananza. Dal resto d’Europa; lontanissima da Madrid, figuriamoci da Parigi, Berlino, Praga. Ed è anche lontananza dalle sue radici che stanno a Rio, a Luanda, perfino a Macao. Lontana dalle sue isole delle Azzorre, di Madeira, di Capo Verde o di Sao Tomè. Ci si sente lontani e soli a Lisbona (ma anche in tutto il resto del Portogallo), colti da dolce malinconia. E’stata una delle grandi capitali del mondo, è ridotta a periferia. Ma la vita pare scorrere molto più quieta che altrove.

IMG_20150219_120627Non erano belli gli abitanti di Lisbona, fino a qualche anno fa. Brutti gli uomini, insignificanti le donne. Ora tutto si sta modernizzando: la metro arriva fino all’aeroporto, i bar sono più puliti, anche le ragazze son diventate belle.

Litigano e discutono sempre gli abitanti di Lisbona; fra sconosciuti, senza veri motivi. Devono essere dispiaciuti di stare lontano da tutti ed ora di non aver più nemmeno un pò di colonie. E’ vero, sono un pò amareggiati dalla vita. Per rabbia hanno dichiarato guerra alle vocali ed hanno trasformato la loro lingua, pur dolcemente neo-latina, in uno strumento da concerto cacofonico.

E si mangia anche maluccio a Lisbona, checchè se ne dica. Apparte il sempiterno baccalà, i piatti son abbastanza tirati via, sempre un pò troppo umidi; sembrano fatti da ingredienti messi insieme e poco rimescolati.  Un esempio: la cabidela. Risotto mollissimo con sangue di gallina e qualche pezzetto della stessa. Una sbobba. Più consistente ma ancor peggiore la Francesinha (pur originaria di Porto) che è un vero incubo: un toast di salame, carne, salsiccia ricoperto di formaggio fuso, coronato da un uovo in camicia ed annaffiato da abbondante brodo grasso.   La nuova cucina globalizzata vi è arrivata e cerca di raddrizzare le cose, senza ruiscirci troppo. Eccellenti i dolci.

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Tost di baccalà.

Quindi grande luce su Lisbona, ma anche delle ombre. La più grande delle quali è la retorica che si è impadronita di questo città, almeno in Italia. Perchè negli ultimi 20 anni è diventato famosissimo il poeta Pessoa ( a dir la verità di non immediatissima lettura ) ed il suo cultore Tabucchi, il lusofilo ufficiale italiano. Ora ci sono perfino libri (Lorenzo Pini – A Lisbona con Antonio Tabucchi) che parlano di Tabucchi che parla di Pessoa che parla di Lisbona.

E Lisbona diventa un luogo mitico e sognato, esattamente il contrario di ciò che è: una citta nelle cui vene scorre da molto tempo una vita difficile e contrastata. La vidi per la prima volta nell’estate dei Garofani e quella era forza pura, scrollatisi di dosso l’atmosfera esangue che le si vuole affibbiare ora.

E tutto ciò finira’ per rendermela antipatica questa città, resa evanescente dalla mellifluosità di vaghi intellettuali.

IMG_20150302_185853Quindi! Andate a Lisbona, il più presto possibile, stateci il più a lungo possibile. Amatela e soffritela. ma non leggete niente di quanto si scrive di lei. E’ inutile, se non controproducente.

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