Freddo cattivo

Dicembre 6, 2010 3 Di ilviaggiatorecritico

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Usciamo di casa alle 8, arzilli, Igor, suo zio ed io. Troviamo 17 gradi sottozero ed invece di tornare a letto come sarebbe saggio, passiamo tutta la mattina a girare per segherie per vedere se hanno il legname che vorremmo comprare. Noto con terrore che i padroni delle segherie hanno tutti l’abitudine di discutere con noi all’aperto, certo per non far udire agli operai i prezzi che ci propongono. Ci intratteniamo, quindi, a quella incredibile temperatura, sul marciapiede, disctendo a lungo di legname di prezzi, di tempi, di trasporti. Veramente trattano loro in ucraino o in russo (vai a saperlo), io sto lì come un babbeo chiedendomi perchè lo faccio. Di tanto in tanto Igor mi fa una traduzione e chiede il mio parere. Io sono d’accordo su tutto, immediatamente. Firmerei anche la mia condanna a morte pur di levarmi da quel gelo che, sbaragliate le suole delle mie scarpe in un baleno, sta risalendo dalla pianta dei piedi, su, su, su…  Torniamo a casa, io esco un attimo per fare un giro nei dintorni e faccio le fotografie che vedete qui. Sono da solo, lungo un vialetto, verso la campagna, ai piedi di un argine. E’ tutto assolutamente ghiacciato; l’erba, i rami degli alberi, le recinzioni sono un merletto di ghiaccio. Mi sembra di essere nel film del Dottor Zivago. Sono sbalordito dalla bellezza, dal silenzio, dalla pace; ma anche dalla totale estraneità di questo mondo ostile. Il cielo è terso, splende un sole che non serve assolutamente a niente. Non mi fa freddo, sto camminando velocemente; ma togliersi un  guanto per scattare le foto (lo schermo non “sente” il guanto) mi pare un’impresa da fare poche volte nella vita, meglio mai. Non capisco perchè, ma comincio ad avere il fiatone e mi sento stanchissimo. Probabilmente ho tutti i muscoli in tensione, per produrre calore ed è come se fossi in palestra. Immagino che se avessi dei vestiti più adatti, come li hanno loro, starei più a mio agio. In pochi minuti sono distrutto dalla stanchezza, dall’estraneamento, dalla paura di questo mondo che mi circonda. Sono stato molte volte in montagna, in Italia o più a nord, anche in giorni particolarmente rigidi. Ma questo freddo è diverso, ha un’altra consistenza, un altro vigore: una cattiveria sconosciuta, inaudita. L’orda barbarica del freddo, sembra, senza pietà.  Non è una cosa che ti entra nelle ossa, come il nostro. Questo ti aggredisce con morsi feroci. Non è subdolo, è sprezzante, ti lascia stordito, incredulo. Si fa beffe di te e non versa una lacrima sul tuo dolore. Torno a casa affranto.

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In un bar, una tipina mi dice che, vestito come sono, campo tre giorni. Eppure sono i vestiti più pesanti che ho, ma sembrano offrire altrettanta protezione di un paio di bermuda. Mi compro un cappello foderato di pelliccia, con i paraorecchi. Un po’ piccolo, mi tocca calcarlo, ma qualcosa protegge. Lo compro nel foyer della vecchia Casa della Cultura dei tempi sovietici. Vista la rovina generale l’hanno affittato ad uno che ci espone un po’ di vestiti. Tornato a casa mi riscaldano con un 31bicchiere di birra in cui è sciolto un cucchiaio grande di panna densa. Pasteggiamo a vodka, ma con moderazione. Per fumare mi mandano fuori, insensibili.