Elegia triste per la Macaronesia

Novembre 15, 2010 0 Di ilviaggiatorecritico

Nebbia e tristezza vagano sulla Macaronesia,

il settimo continente, il più nuovo.

Nato dal fuoco e dal mare, là dove l’Atlantico si apre,

allontanando l’Africa dall’America; aumentando le distanze, accrescendo le solitudini.

Azzorre, Madeira, Porto santi, Canarie, Capo Verde, mi piace aggiungerci Sao Tomé.

Isole nere e rosse di roccia vulcanica; l’estremo verdore delle Azzorre e di Sao Tomé controcanta l’aridità di Capo Verde.

Solo le isole più antiche, Porto Santo, Boa Vista si distendono in pianori sabbiosi e chiari.

Delle Canarie non so, le altre 21 isole sono 21 universi diversi per dialetto, storia e caratteristiche. Universi minuscoli ma completi. Soprattutto complessi.

La natura spadroneggia, il mare è nemico, l’uomo si adatta, se può; se non può, fugge (se ce la fa, più spesso crepava). L’uomo ce lo hanno portato a forza di armi o di miseria o di inganni.  Dall’Europa o dall’Africa.

Paesaggi belli, estremi, come spesso nelle terre vulcaniche. Ma sono ripetitivi, un po’ tutti uguali. Nella Macaronesia l’elemento straordinario è la storia umana. Recente e povera di fatti. Ma ricchissima di dolori, ancor più dolorosi dei fatti della terra che si rompe e si apre per mano dei vulcani.

Un viaggio, secoli fa, da deportati, schiavi, miserrimi. Poi generazioni relegate in un isola, senza mai uscirne. Poi un altro viaggio, da emigranti, di ritorno in Europa o in Africa o verso l’America. Come la disseminazione della vita nell’universo, di meteorite in meteorite. Frutto del caso. Frutto della diaspora portoghese o spagnola.

Portoghesi, spagnoli, africani, come tutti gli altri, almeno al loro arrivo. Ma nelle isole la gente cambia; le isole cambiano la gente. E la gente diventa un’alttra cosa; diventano isolani della Macaronesia. L’isola cambia l’anima alla gente.

Gli azzorriani hanno popolato il mondo. Stati Uniti, Brasile, Angola, Mozambico. I Canari hanno popolato il Sud America, là si parla la loro lingua.

Solo un pelo sopra i negri. I più negri fra i bianchi. Come dicono i congolesi: ci sono i bianchi, ci sono i neri; poi ci sono gli azzorriani. Più numerosi i capoverdiani negli States che a Capo Verde; quelli di Fogo stanno tutti a Brocton, sobborgo di Boston. Vi hanno ricreato la loro isola.

Mακάρων νῆσοι, le isole dei beati per i greci, che preferirono le loro (di isole) e qua non vennero; meglio maledetti a casa propria che beati qua. Vennero i Cartaginesi alle Canarie, si chiamarono Guanci e furono sterminati dagli spagnoli. Boccaccio ne parla. Le Azzorre stanno nell’Atlante Mediceo del 1351, ben prima che i portoghesi dicessero di averle scoperte. Monete cartaginesi a Corvo; enigmi della storia.

Fra Europa ed America, riposo per galeoni e skippers mesciati biondi, riserva di acqua, legna, carne e braccia per pirati e baleniere americane. Scalo di aerei, base di antenne militari, stazione di cavi transoceanici. Incrocio di molti, ma tutti finiscono per andarsene.

Isole che esistono perché qualcuno ne ha bisogno. Gli isolani li vedono arrivare; poi se ne vanno e loro restano. Desiderio di seguirli e paura di affrontare il mondo. La sindrome dell’ultraperifericità; l’Unione Europea finanzia anche quella. Meglio per tutti sarebbe favor4ire l’emigrazione totale programmata ed assistita. E permettere alla Macaronesia di tornare vergine dall’uomo, come è sempre stata.

Mare grande, mare brutto, mare contro, mare che divide.  Non è il mare di Ulisse, è quello di Achab.

1500 fiamminghi nel ‘400 vennero a Faial per coltivare l’Isatis, colorante tessile. Diversi dagli altri, sono ancora lì, nel loro villaggio, Flamengos. Ho fatto con loro il pranzo parrocchiale della domenica, oggi. Nessuno parlava, non si sono ancora ripresi dall shock.

Tristezza da nebbia, da isolamento, da portoghesi, popolo tristissimo anche in continente.

A Capo Verde il sangue africano riscalda l’ambiente e si vive. Donne abituate a giostrare con perizia contro la violenza stupratrice del colono portoghese.

Unico divertimento, la musica, diffusissima ovunque e da sempre. Ogni isola, ogni frazione una banda, uno stile diverso.

Sono macaronese anch’io. Vi ho passato l’1% della mia vita. E soffrii e soffro la sindrome dell’isolano. Malinconica nostalgia del mondo lontano, paura di tornarvi. Un’isola è un utero. Desiderio e dovere di lasciarlo, ma lasciatemi dentro ancora un po’. Qui sto al sicuro, niente può succedermi, di male. E la tristezza macaronesica m’invade. ma quando te ne vai, mica vuoi tornarci….